E’ rumagnôl in cure palliative: un interessante progetto promosso da Laura Giunchi

Da un anno a questa parte, all’interno del Reparto Cure Palliative Onco-Ematologiche dell’Hospice “Valerio Grassi” di Forlimpopoli è nato lo spazio di incontro “Tra le righe” in cui grandi autori e poeti entrano, tramite la lettura ad alta voce, di stanza in stanza, per accompagnare e intrattenere i pazienti e i familiari del reparto.

“Che cosa preferisce leggere? In italiano o in dialetto?” domando aprendo il paniere dei libri che mi porto appresso; e come spesso capita molti pazienti si sentono più a loro agio, direi a casa, con il dialetto. Anzi la parola dialetto crea curiosità o meglio familiarità.

Così accanto a poesie, racconti di autori italiani e stranieri come Pablo Neruda, Emily Dickinson o Stefano Benni, può accadere che in alcune stanze entrino detti e proverbi romagnoli, zirundele, poesie o brevi racconti. Libri fotografici e immagini che rappresentano la vita di un tempo e che in genere possiedono un grande potere evocativo per coloro che fanno più fatica all’ascolto, non sono in grado di parlare o necessitano di un supporto visivo.

Prendo in prestito le parole di Ruffillo Budellacci per riassumere ciò che tanti pazienti mi consegnano: “No mai abanduner e’ tu dialett, che dla Rumagna l’è e’ piò perfët…No t vargogna ad parler a la zenta, l’è e’ pëz piò impurtent dla tu smenta… No t scurdè che u t l’ha insgnì la tu mama… L’è una lengua che la n’è mai stêda screta, mo la n’è una lengua pureta”.

Spesso i ruoli si invertono. Così capita che il mio paniere raccolga più di quanto ha portato: ricordi di vita vissuta, speranze sussurrate, aneddoti e barzellette tutte rigorosamente in dialetto.
D’altronde anch’io sono nata in una famiglia bilingue, come si dice adesso: i miei mi parlavano in dialetto e io rispondevo in italiano. Ora, invece, capita il contrario che io, qualche volta, parli in dialetto e che i miei mi rispondano in italiano. Senza rendercene conto, può succedere che ci allineiamo tutti nella stessa lingua, o una o l’altra.

Il dialetto diventa, allora, un tramite per rendere l’ospedale più “ospitale”, per “volare fuori” per qualche momento da situazioni complesse, croniche o inguaribili, e creare una piccola relazione nel segno dell’ascolto reciproco e del prendersi cura.
In questo modo le storie e le righe dei libri si intrecciano con le storie e la vita dei pazienti…grazie anche al nostro dialetto.

Laura Giunchi

Società Italiana Cure Palliative

Federazione Italiana Cure Palliative

Associazione Medicina e Persona

Club ‘L’inguaribile voglia di vivere’

Hospice Forlimpopoli

Hospice Dovadola

Opera Pia Zauli

IRST