Incontro 17 ottobre: la speranza, essenza della vita umana

Si ispira ad un pensiero di S. Agostino il titolo dell’incontro organizzato lo scorso 17 ottobre dall’ass. Amici dell’Hospice, dal Club L’Inguaribile Voglia di Vivere e dalla Fondazione Benedetta Bianchi Porro sul tema “Non c’è uomo senza speranza”. E di speranza si è parlato molto durante l’evento: Marco Maltoni e Massimo Pandolfi, rispettivamente responsabile scientifico dell’ass. Amici dell’Hospice e presidente del Club l’Inguaribile Voglia di Vivere” l’hanno definita uno dei cardini dell’esperienza umana: la “prima speranza” è la scoperta che in ogni circostanza, anche la più complessa, la vita ha sempre un significato, la “seconda speranza” sta nella consapevolezza che non siamo soli, ma al nostro fianco abbiamo una compagnia umana che può sorreggerci nelle difficoltà e accompagnarci nelle vicende della vita.

Concetti profondi che hanno avuto conferme in alcune testimonianze: Emanuela Bianchi Porro ha raccontato alcuni aspetti della vita della sorella, ora beata, che ha vissuto la sofferenza, l’umiliazione di essere presa in giro a scuola perché zoppa, la disperazione della scoperta della malattia (che si diagnosticò da sola) e il cambio di passo quando Benedetta decise di abbandonarsi a Dio e di considerare la sua condizione fisica un dono, piuttosto che una sventura. E, più la malattia avanzava, più diventava testimonianza per chi le viveva a fianco, che, incontrandola, scopriva in lei il mistero e l’azione di Dio.

Altrettando intensa la storia di Mario Melazzini, medico di successo, che, all’improvviso si ammala di SLA e tutte le sue certezze si sgretolano, portandolo ad un isolamento totale, nel quale vive l’incapacità di accettare la convivenza con la malattia. Un isolamento nel quale però c’è spazio per un grande amico, un gesuita che con lui condivideva anche la passione per la montagna, che gli lascia la propria Bibbia aperta sul libro di Giobbe. Ed è proprio riflettendo sul personaggio biblico che in Melazzini matura la convinzione che tutto ciò che ci viene tolto, poi ci viene restituito. E così riparte: la sua speranza sta anche nello sguardo delle persone che gli sono attorno e lo curano amorevolmente. Questa ripartenza dà frutti molto superiori a quelli che avrebbe conseguito senza la malattia: l’impegno politico, la presidenza di enti importanti, l’avvio di strutture sanitarie sono solo alcuni aspetti di quella che può essere definita la ricaduta benefica della malattia sulla sua persona, frutto della consapevolezza che è sempre possibile vivere positivamente la quotidianità.

Le vicende umane di Max Tresoldi e di sua madre Lucrezia sono l’essenza della speranza: quando tutto sembrava perduto, come accadde a Max nel 1991 in un terribile incidente che lo portò allo stato vegetativo (un “tronco secco”, lo definirono i medici), Lucrezia donò tutta se stessa al figlio, perché lui si sarebbe risvegliato dall’interminabile silenzio in cui era caduto e, quando la sua speranza oramai traballava, ecco che avvenne ciò che tutti ritenevano impossibile: Max, la sera del 28 dicembre 2000, dopo quasi 10 anni, si muove, fa il segno di croce invitato dalla madre e la abbraccia forte. E’ l’inizio della risurrezione. Anche nel caso di Max questa rinascita è segnata dall’amicizia delle persone: i ragazzi dell’Oratorio sono una presenza costante al suo fianco, fondamentale anche per mamma Lucrezia, per non perdere mai la speranza per il suo ragazzo. Oggi Max gioca a basket in carrozzina, dipinge e ha ricominciato a parlare. Ma il percorso non è che all’inizio, tante altre conquiste sono ancora da raggiungere.

E’ il 20 maggio quando si spegne Guglielmo Russo, presidente di Lega Coop. A distanza di qualche mese sua moglie Daniela ha raccontato la propria quotidianità nei due anni di malattia del marito: una quotidianità, che, pur nella drammaticità della situazione, è stata vissuta anche con il desiderio di vivere pienamente ogni attimo. Guglielmo, uomo di grande fede, ripeteva spesso “Tutto è grazia” e la sua famiglia, specie negli ultimi tempi in Hospice (quando il rientro a casa poteva essere solo un’eventualità remota), ha respirato una grande amicizia specie degli amici dei figli, stretti attorno a quel letto: “una stanza sempre zeppa di persone” è stato un dono per la famiglia Russo, che in tante circostanze ha significato non cadere nello sconforto, ma andare avanti. “Senza di loro non ce l’avremmo fatta” dice oggi Daniela, riconoscendo che la malattia è uno sconquasso della vita, specie se sei solo. “Noi, pur nella grande sofferenza, l’abbiamo vissuta come una grande opportunità per gustare il bello della vita e Guglielmo, in questo, ci è stato tanto di aiuto”.

Società Italiana Cure Palliative

Federazione Italiana Cure Palliative

Associazione Medicina e Persona

Club ‘L’inguaribile voglia di vivere’

Hospice Forlimpopoli

Hospice Dovadola

Opera Pia Zauli

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